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Sulla Cop28 che si apre domani negli Emirati si allungano le ombre, tra ritardi sul clima, assenti eccellenti e conflitti di interesse.

Per alcuni è la Cop del paradosso, per altri l’ultima possibilità di invertire rotta sulle emissioni e contrastare il cambiamento climatico. La 28esima Conferenza delle parti, il vertice annuale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si apre domani e fino al 12 dicembre a Dubai, non è ancora cominciata eppure è già al centro delle polemiche. C’è chi sostiene che la contraddizione sia intrinseca nella scelta della sede: organizzare la Cop negli Emirati Arabi Uniti, settimo produttore di petrolio e tra i principali esportatori di idrocarburi al mondo, e chi invece sostiene la necessità di coinvolgere nel dibattito tutti gli attori della transizione energetica, incluso il settore dell’oil&gas. Di certo c’è che l’appuntamento cade in un anno caratterizzato da alluvioni, ondate di caldo eccezionali e all’indomani dell’estate più calda mai registrata sulla Terra. Eppure, dopo quasi 30 anni di vertici sul clima, nel 2022 i gas serra nell’atmosfera hanno raggiunto livelli record e sulla base degli attuali piani climatici – avvertono gli esperti – non solo non centreremo l’obiettivo degli Accordi di Parigi di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi dai livelli pre-industriali, ma corriamo spediti verso un aumento delle temperature di quasi tre gradi Celsius entro la fine del secolo. “Siamo intrappolati in un ciclo mortale. Il ghiaccio riflette i raggi del sole. Quando svanisce, più calore viene assorbito nell’atmosfera terrestre. E questo significa più riscaldamento, che significa più tempeste, inondazioni, incendi e siccità in tutto il mondo” ha ammonito il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, aggiungendo: “Alla COP28 i leader devono interrompere questo ciclo. Le soluzioni sono ben note a tutti”.

Presenti e assenti eccellenti?

All’incontro parteciperanno oltre 70mila delegati, 140 capi di Stato e alti dirigenti di governo di 193 paesi. Tra gli ospiti più illustri che hanno confermato la loro presenza ci sono il sovrano britannico Carlo III, che pronuncerà un discorso alla cerimonia di apertura e il primo ministro indiano Narendra Modi. Non è prevista invece la partecipazione dei rappresentanti dei due maggiori inquinatori mondiali, Stati Uniti e Cina, poiché né il presidente Joe Biden, né Xi Jinping parteciperanno. Non certo un segnale incoraggiante, anche se i due paesi saranno rappresentati da funzionari di alto livello come l’inviato speciale degli USA per il clima John Kerry. I due temi centrali dell’agenda di quest’anno ruoteranno intorno alla formulazione – per la prima volta – di un bilancio di quanto fatto finora per attuare l’Accordo di Parigi (Global stocktake), e alla realizzazione del Fondo ‘loss & damage’, deciso l’anno scorso alla Cop27 di Sharm el-Sheikh per ristorare le perdite e i danni del cambiamento climatico nei paesi poveri. I negoziati dell’ultimo anno fra paesi ricchi e paesi in via di sviluppo hanno portato a una ipotesi di compromesso: il Fondo dovrebbe rimanere per 4 anni presso la Banca Mondiale, soluzione sgradita ai paesi più poveri, poi si vedrà. La decisione finale sarà ancora una volta argomento di dibattito accesso fra Nord e Sud del mondo.

Si parla di clima o di affari?

Più dell’agenda fitta e delle differenti sensibilità, però a pesare sulla Cop28 sono i sospetti, alimentati da uno scoop della Bbc, secondo cui gli Emirati arabi intendono sfruttare il proprio ruolo di paese ospitante per promuovere accordi su petrolio e gas. Un’accusa corroborata da una serie di documenti di cui la Bbc è entrata in possesso e che ha parzialmente pubblicato in cui il team degli Emirati suggerisce ai governi di una quindicina di paesi che Adnoc vuole lavorare con loro per sviluppare progetti sui combustibili fossili. “Le riunioni private sono private” è stata la risposta del team che non ha negato di aver utilizzato le riunioni della COP28 per “colloqui di lavoro”. I documenti mostrano anche che gli Emirati Arabi Uniti hanno predisposto discussioni sulle opportunità commerciali per la società statale di energie rinnovabili, Masdar, in vista degli incontri con 20 paesi, tra cui Regno Unito, Stati Uniti, Francia, Germania, Paesi Bassi, Brasile, Cina, Arabia Saudita, Egitto e Kenia. “Incontrare i rappresentanti dei governi stranieri è una delle responsabilità principali dei presidenti della Cop” sottolinea la Bbc, precisando tuttavia che tali incontri devono rispettare degli standard di condotta fissati dalle Nazioni Unite e devono essere finalizzati ad incoraggiare i paesi “a essere il più ambiziosi possibile nei loro sforzi per ridurre le emissioni”.

Un petroliere salverà il pianeta?

L’uomo a cui gli Emirati Arabi Uniti hanno affidato la presidenza della Cop28, è anche lui al centro delle polemiche: Sultan Al Jaber, è infatti anche il capo della compagnia petrolifera nazionale del paese, la Abu Dhabi National oil Corp (Adnoc) e ministro per le tecnologie avanzate del paese. Una scelta che ha messo in allarme attivisti ed esperti per il clima che, in virtù del suo ruolo in una tra le principali società di combustibili fossili al mondo e che sta aumentando la sua produzione, lo hanno esortato a dimettersi. L’accusa mossa nei suoi confronti è chiara: Al Jaber si troverebbe in una situazione di evidente conflitto di interessi, che minaccia il successo della Cop28 ed è sintomatico dell’aumento dell’influenza delle lobby sugli stati e sulla stessa conferenza sul clima. Critiche a cui Al Jaber risponde con un ragionamento non privo di una sua logica. “Se i combustibili fossili sono al centro del problema – spiega in una lunga quanto esclusiva intervista al Guardian – allora forse un uomo al centro di quell’industria e che ne conosce i meccanismi è la persona giusta per rompere l’impasse globale”. Un argomento valido abbastanza da scommetterci le sorti del pianeta? Per saperlo bisognerà aspettare le conclusioni del vertice.

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