V.Sgarbi Il Giornale

In questi giorni Elisabetta, mia sorella, ed io viviamo tra due fuochi, problemi analoghi. I problemi hanno i nomi di Patrick Zaki e Moni Ovadia.L’intellettuale ha il dovere della condanna e del rispetto Ascolta ora: “L’intellettuale ha il dovere della condanna e del rispetto”In questi giorni Elisabetta, mia sorella, ed io viviamo tra due fuochi, problemi analoghi.

I problemi hanno i nomi di Patrick Zaki e Moni Ovadia. Il primo è un autore de La Nave di Teseo che con molta abilità mia sorella ha cooptato e avviato a sicuri successi editoriali. Il secondo è direttore del teatro di Ferrara, indicato da me all’amministrazione comunale nonostante la sua riconosciuta militanza che lo rende inviso a una parte della destra (…)(…) ferrarese. In entrambi i casi la contraddizione è evidente: i due dicono cose che non piacciono a chi giudica con tutta la giusta severità l’attentato di Hamas.

Analizzano le ragioni del conflitto israelo-palestinese ma sembrano non vedere l’episodio specifico e il suo orrore. Che fare allora con queste posizioni?Mia sorella, fin dalle prime presentazioni del libro Sogni e illusioni di libertà: la mia storia, vede Zaki universalmente esecrato con l’annullamento di tutte le date di incontri, a partire dal Salone del Libro di Torino.

Prevedibili censure che favoriranno il successo del libro, fortificando nelle loro convinzioni i simpatizzanti di Zaki. I libri non si impongono se non tentando di ostacolarli: nulla li favorisce più delle censure. Diverso è il caso di Moni Ovadia. Avendone io sostenuto la nomina a Ferrara, da più parti mi si chiede di farlo dimettere. Il teatro è un’istituzione corale che rappresenta lo stato d’animo della cittadinanza. E il sentimento collettivo è dalla parte di Israele. Il resto sono riflessioni politiche difficili, per un ebreo come Ovadia, anche in tempo di pace.

Ho così preso posizione per rispondere a un diffuso sconcerto, tanto più forte perché l’essere ebreo di Moni Ovadia gli dovrebbe imporre dolore e pietà per il suo popolo. Di fronte all’attacco di Hamas contro cittadini israeliani inermi, invoco il rispetto e la necessità del dolore e della condanna di una azione terroristica senza obiettivi militari.

Nessuna disperazione e nessuna ragione possono giustificare un’azione così indegna. Le istituzioni culturali ferraresi hanno il dovere di sostenere il diritto di Israele ad esistere. Ogni altra considerazione umana e politica sui diritti dei palestinesi non può essere invocata. In un momento come questo richiamo Ovadia, nel suo ruolo istituzionale, al contegno e alla umana pietà per le vittime innocenti, che sono posizioni necessarie e preliminari a qualunque riflessione politica.

Ovadia risponde alla mia sollecitazione: «Io non prendo posizione, ma argomento sulle origini della catastrofe come fa la stampa israeliana. Inoltre i miei compiti sono professionali, non istituzionali». Io ribatto, cercando di muovere la sua sensibilità: «Nessun limite al tuo pensiero ma non sul sangue e sul corpo degli ebrei uccisi». E lui risponde: «Ho scritto un po’ di getto. Non ho inteso minimamente sottovalutare l’orrore contro vittime innocenti. Io non distinguo fra ebrei e palestinesi. Da oltre trent’anni vox clamans in deserto ho denunciato i crimini dell’esercito israeliano contro palestinesi indifesi, il divino Occidente ha taciuto, certo l’orrore non ha giustificazioni di sorta. Ma io non ho giustificato nulla, ho solo indicato quella che a mio parere è la causa prima e questo non è insultare le vittime, è cercare di capire perché l’orrore non si ripeta più».

Incalzato dalle polemiche, tra gli altri, della comunità ebraica, mi scrive, replicando al vice presidente della comunità ebraica di Milano: «Non ho mai coinvolto il teatro nelle mie opinioni. Il mio è un incarico non un’investitura. Non ho portato il tema israelo-palestinese in teatro. Se le mie opinioni sono criminose ci sono i tribunali. Non mi dimetterò. Qualcuno dovrà cacciarmi e se lo farà io ricorrerò in tribunale in difesa della mia libertà di parola».

Insomma, una vicenda complessa in cui si scontrano umanità e libertà, sensibilità e opinioni, ma è interessante il risultato che esce dalle ultime parole di Ovadia a me: «Caro Vittorio, da oggi ho deciso di tacere. Ho rifiutato anche un’intervista sul Corriere della sera».

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