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IL VENEZUELA VUOLE PRENDERSI UN PEZZO DI GUYANA 

Al referendum per l’annessione della regione della Guyana vince il ‘sì’, e ora la crisi preoccupa il Sudamerica.

La maggior parte dei venezuelani sostiene l’annessione, più volte rivendicata dal presidente Nicolas Maduro, della regione di Essequibo, estesa su un’area maggiore del Portogallo e pari al 70% del territorio della Guyana. Almeno così fanno pensare i risultati del referendum tenutosi ieri nel paese latino-americano e in cui – secondo il Consiglio Elettorale Nazionale (CNE) –  circa 10 milioni di elettori si sarebbero espressi a favore del ‘sì’. Ai venezuelani che si sono recati alle urne era stato chiesto se fossero favorevoli alla creazione di uno Stato venezuelano nel territorio conteso, garantendo la cittadinanza agli attuali e futuri residenti, e rifiutando la giurisdizione Onu per risolvere la controversia. “È stato un successo totale per il nostro paese, per la nostra democrazia”, ha detto Maduro ai sostenitori riuniti a Caracas dopo il voto, sulla cui affluenza però gli osservatori internazionali avanzano dubbi. Da anni il Venezuela sostiene che il territorio, che rientrava nei suoi confini durante il periodo coloniale spagnolo, gli sia stato illegittimamente sottratto. La Guyana rivendica i suoi diritti sull’Essequibo in base a un lodo arbitrale del 1899 che le assegnò la sovranità sul territorio (allora sotto il dominio del Regno Unito), mentre Caracas difende l’Accordo bilaterale raggiunto a Ginevra nel 1966 quale meccanismo per risolvere la controversia.

Una disputa annosa?

La regione di Essequibo, di 160mila chilometri quadrati, è amministrata dalla Guyana e i suoi 125mila abitanti non hanno votato nella consultazione, che i considerano un passo verso l’annessione unilaterale da parte del Venezuela. La disputa si era intensificata da quando, nel 2015, ExxonMobil ha scoperto un imponente giacimento petrolifero nel blocco di Stabroek, nello specchio d’acqua di fronte alle coste contese. Nel 2018 la Guyana, unico paese anglofono del Sud America, ha chiesto alla Corte internazionale di giustizia (CIJ) di pronunciarsi sulla disputa dichiarando il confine attuale come legittimo e vincolante, ma per una decisione definitiva potrebbe volerci qualche anno. Perciò, anche se il voto di domenica non è riconosciuto a livello internazionale e non avrà pertanto conseguenze giuridiche, la consultazione non poteva non alimentare tensioni. Venerdì scorso, la Corte aveva ordinato a Caracas di non intraprendere alcuna azione che potesse alterare il controllo della Guyana su Essequibo, ma non aveva specificamente vietato lo svolgimento del referendum. E nel fine settimana, il presidente della Guyana, Mohamed Irfaan Ali, ha affermato che il suo paese non intende cedere alcun territorio al controllo venezuelano e invitato il governo Maduro a “moderare il suo comportamento”.

Un enorme spot propagandistico? 

Nelle ultime settimane il governo venezuelano ha portato avanti un’enorme campagna per promuovere l’annessione e il presidente Maduro ha pubblicizzato il referendum su Tiktok e altri social, in quella che secondo diversi commentatori sembra un’operazione mirata a rafforzare il consenso nei suoi confronti in vista della campagna per le elezioni presidenziali del 2024. Maduro – che ha vinto la rielezione nel 2018 con un voto considerato non riconosciuto dagli Stati Uniti – deve ancora annunciare la sua candidatura, anche se molti si aspettano che si candidi. Anche per questo numerosi oppositori politici tra cui María Corina Machado – vincitrice delle primarie di opposizione ma su cui pende un’interdizione dai pubblici uffici per 15 anni – hanno invitato gli elettori al boicottaggio. Machado aveva definito il voto una “distrazione” e dichiarato che la questione dovrebbe essere risolta presso la CIJ. Al contrario, l’esecutivo ha equiparato la partecipazione al referendum a ‘un atto di patriottismo’, promuovendolo con cartelloni pubblicitari, concerti, merchandising, raduni militari e pubblicità incessanti. Tre ore dopo la chiusura dei seggi, il presidente del CNE, Elvis Amoroso, ha annunciato che alla consultazione hanno partecipato 10,43 milioni di elettori, ovvero circa il 50% della popolazione e che i cinque quesiti sono stati approvati con una maggioranza del 95% di favorevoli. Un risultato mai raggiunto prima in nessun appuntamento elettorale, che ha destato molti sospetti e che stona con i resoconti provenienti dalle varie città venezuelane secondo cui davanti ai seggi non si erano formate lunghe code, e nulla avrebbe lasciato pensare ad un’alta affluenza di votanti.

Dalle parole ai fatti? 

La domanda che in molti si pongono in queste ore, in Guyana e non solo, è se la controversia su Essequibo possa trasformarsi in un conflitto militare e se il referendum sia servito a Maduro per galvanizzare l’opinione pubblica venezuelana in suo favore o se invece puntasse a legittimare un’aggressione ai danni della Guyana. Non potendo scartare alcuna ipotesi, la rivendicazione venezuelana ha perciò causato l’allarme dei governi del Sud America e dei Caraibi, che temono che la crisi possa degenerare in una guerra capace di destabilizzare il Sudamerica. “Il referendum, dà a Maduro un assegno in bianco perché possa in qualsiasi momento, a sua discrezione, avviare qualsiasi tipo di scontro di confine di carattere militare nel territorio di Essequibo”, osserva Rocío San Miguel, analista della difesa in Venezuela. E se Maduro credesse di essere sconfitto alle elezioni, potrebbe “attivare il pulsante della guerra” e sospendere l’appuntamento con le urne dichiarando un’emergenza nazionale. Se al momento un attacco del Venezuela non sembra probabile, questo è un timore condiviso: che il presidente venezuelano decida di alimentare una crisi per spostare l’attenzione dai problemi interni del paese mentre molti venezuelani premono per un’elezione che potrebbe mettere in discussione la sua presa sul potere.

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