Di Al. Tallarita

Per essere vincenti occorre diventare simboli punti di riferimento interlocutori privilegiati.

Benemeglio

The relationship between knowledge and power are balanced. The power to use the knowledge as a tool to achieve its purposes.A critical approach to the subject search in the historical change in the way we produce the effects of truth. True or false, or passed as true. Within all of the speeches that are interpreted as true or as false.

I rapporti tra sapere e potere non sono esclusivamente sbilanciati dalla parte del secondo. Perché non è solo il potere a usare il sapere come strumento, oggetto atto al raggiungimento dei suoi scopi. Un approccio critico alla materia, si pone da un punto di vista atto a ravvisare nel corso del mutamento storico, la maniera in cui si producano gli effetti della verità. Presunta o reale, passata volontariamente come tale, all’interno di tutti quei discorsi che rechino in se la possibilità di essere interpretati come veri o come falsi.

1.Lavoro Sapere Potere

I discorsi sono interpretabili come veri o falsi. Associati alla conoscenza di tutti i meccanismi ed istanze che permettono di distinguere gli enunciati veri o falsi. È importante il modo in cui si manifestano e si riproducono (Foucault, 1977). Foucault considera la follia, la delinquenza, la malattia, la sessualità come singolarità storiche. Esperienze che si sono costituite nel configurarsi di una correlazione particolare, tra un campo di sapere e un sistema normativo. Una modalità di un peculiare rapporto del soggetto, avvenuto con se stesso. La società si muove e agisce, come le strutture in cui il potere si manifesta, attraverso l’imposizione della disciplina.

Come: le carceri, la scuola, gli ospedali e le caserme, dove avviene una gestione politica del corpo. In questi luoghi l’opposizione tra istituzioni e corpi assoggettati raggiunge il suo acme. Le manifestazioni vitali, organiche e psichiche di un individuo sembrano implodere in uno spazio esistenziale codificato dall’imposizione di un potere disciplinare. La strumentalizzazione del potere avviene entro diversi ambiti e può essere identificata anche nel contesto dove l’individuo esprime se stesso attraverso il lavoro.

Il concetto di lavoro, come attività entro la quale l’essere umano possa sviluppare i propri talenti, e possa mettere in opera un potenziale di azione che altrimenti resterebbe repressa, non dovrebbe essere un ambito entro il quale la libertà come concetto assoluto possa essere messa in discussione. Perché quando questo avviene, l’attività che dovrebbe rendere all’individuo quanto in potenziale sia già in lui manifesto, si tramuta in sfruttamento. L’individuo perde la sua libertà e diviene uno strumento gestito dalle mani di un potere centrale, all’interno di una concezione che mira ad ottenere il massimo rendimento dal suo potenziale come oggetto. Strumentalizzato dal concetto di lavoro. Il concetto per il quale la libertà non possa essere pensata come condizione universale ha attraverso il pensiero greco per giungere nell’ontologia dell’attualità. Pierre Macherey, sostiene che la libertà concreta del soggetto comincia, con la tendenza a singolarizzare il sistema a cui appartiene. Nelle sue teorie troviamo i concetti di lavoro e capitale interpretati alla luce della strumentalizzazione del potere, nell’ottica del biopotere questo risulta possibile.

2.Biopotere


Il saggio Le Sujet Productif di M. Foucault esprime di queste teorie, prendendo le mosse dalla definizione di biopotere presentata in La volontà di sapere del 1976. Il linguaggio utilizzato è quello di Foucault sull’investimento del corpo vivente, la sua valorizzazione e la gestione distributiva delle sue forze a segnalare lo scarto che la categoria di biopotere determina nell’analisi del potere. Questa analisi deve ora situarsi sul piano dell’economia, che Macherey interpreta non incentrata sui valori dei beni scambiabili, sulla base di una economia delle cose. Questa in vero si preoccupa principalmente della gestione della vita, dei corpi e delle loro forze. Indica nel capitalismo il terreno su cui opera il biopotere e per farlo propone una lettura rivelatrice di alcuni testi di Marx, facendovi interagire insieme le ipotesi avanzate da Foucault a proposito del potere. Arrivando così alla deduzione che capitale e potere sono definiti dai due teorici in termini di rapporti di forze. Uno dei primi testi di Foucault in cui compare questo concetto è tratto dalla conferenza tenuta a Bahia nel 1976, Le maglie del potere, Macherey rilegge in modo molto efficace alcuni concetti dal lavoro sociale alla cooperazione, dal dispotismo di fabbrica al campo di lavoro, per mostrare come lo svolgimento della problematica della forza lavoro determini un’implicazione reciproca di biopotere e produzione di soggettività. Il potere usa come mezzo per manifestarsi il concetto di forza produttiva, attraverso lo sfruttamento dell’essenza umana, nella produzione industriale capitalistica inventa sfrutta l’essenza umana, sotto forma di forza produttiva. Il potere attua le sue strategie come parlare di lavoro sociale e cooperazione produttiva per autodeterminarsi, in contesti dove avviene la mercificazione della potenza umana, dove la merce per gli individui che i lavorano, diviene la propria forza lavoro fondamento del capitalismo. Il lavoratore padrone della propria forza lavoro è un soggetto diviso che vede alienato l’uso della sua forza lavoro.

3.L’ individuo come strumento


La pressione e il controllo del potere intensificano le potenzialità apportate dalla forza lavoro come forza produttiva. L’individuo è strumentalizzato nel suo corpo, che è la sede della sua forza che integra con la sua predisposizione al lavoro. Il sapere e la conoscenza concepiscono il corpo e l’individuo come un oggetto di studio organizzato attorno alle relazioni di potere. Molte funzioni partono dal corpo e si sviluppano da esso tra cui il discorso che è uno strumento di potere. Il discorso rappresenta in se un potere fortissimo, elemento di lotta nel gioco di forze contrapposte. Manifestazione di un desiderio ed elemento fondamentale del riconoscimento delle manifestazioni di questo potere, che risiede nella scelta di come la società valorizzi, distribuisca e attribuisca il sapere. Il discorso della verità istituzionale diviene fondamentale perché rappresenta la parola del potere. È difficile da riconoscere la congiuntura del passaggio dalla verità del discorso come desiderio di verità che esercita il potere. La veridicità di un discorso non è semplice da chiarire in quanto, si ritiene come vero, ciò che deriva da una volontà di verità culturalmente accettata. È la cultura a tracciare la linea tra la verità e la non verità enunciata da un discorso. Potere e desiderio determinano le procedure d’esclusione, di controllo e delimitazione del discorso, i discorsi tendono a controllarsi. Si sviluppano delle procedure che agiscono come principi di classificazione, le categorie non sono immodificabili i discorsi che risultano importanti in una prima fase, divengono meno importanti nella fase successiva, quando altri discorsi sostituiranno i precedenti. L’autore è la fonte da cui si originano i significati dei discorsi. Anche secondo Foucault. L’autore cerca di dare coerenza alle infinite possibilità del linguaggio e limita il discorso alla sua individualità. Nel rapporto con il proprio corpo nelle società antiche il comportamento sessuale degli uomini liberi era oggetto di una profonda riflessione morale, che esercitava così il suo potere. Nella valutazione di una ipotesi sul disciplinamento o meno degli individui nelle società antiche, Mario Vegetti nel testo su Foucault si è espresso in termini divergenti da quelli di Foucault, ipotizzando che i suoi strumenti concettuali, adatti a pensare il potere nelle sue forme moderne, non siano invece riusciti a cogliere il volto antico del potere. Dove invece intravede un’apparenza della libertà che avrebbe sedotto Foucault con il mito della libertà classica, sottovalutando al contrario i poteri di normalizzazione e di costrizione delle società antiche (Vegetti, 1986). Il pensiero legato alla morale greca è rielaborato per ulteriori comprensioni nel campo dell’etica, in cui come sostiene Gilles Deleuze (1986) il rapporto dell’individuo alla norma si piega nel rapporto che egli stabilisce con se stesso.

4.Controllo Morale e Potere

La morale greca dà la possibilità di pensare che le regole facoltative siano funzioni regolatrici che si distinguono dal codice senza separarsene completamente (Deleuze, 1986). L’individuo libero non è l’individuo liberato dalla morale comune ma è l’individuo padrone di se stesso, capace di riconoscere il momento in cui si apre lo spazio di una decisione, dotato di un savoir-faire qui en che tenendo conto dei principi generali guideranno l’azione al loro momento, in base al loro contesto ed in base ai suoi fini (Foucault, 1984). Il potere moderno per Foucault si esercita in forme più complicate delle stesse modalità repressive, in quanto è un’istanza produttrice, positiva, che non si limita a vietare ma produce discorsi, saperi e oggetti atti a manifestare se stesso. La resistenza al potere e il problema sulla libertà, grazie a un confronto con la soggettività del periodo classico, sono argomenti affrontati attraverso questo parallelismo tra il mondo moderno e un’altra epoca. Il concetto di libertà e ciò che riprende e difende pur con dei valori a suo avviso da ricercare nella contemporaneità. Il concetto di potere che si impone sulla stessa vita e le forme di assoggettamento ad esso legate portano a pensare che lo spazio della libertà sia quello puramente etico. Il problema etico, implica alcuni concetti che visti alla luce della nuova etica moderna, le cui tesi sono state enunciate nel 1979 da Hans Jonas, pongono ad attento esame il concetto di responsabilità. Come qualcosa che sia estraneo alla propria persona e che obblighi ad agire contrapponendo al proprio potere il diritto di esistere. Concetto di responsabilità questo, fondamentale per un’etica della responsabilità futura. Soltanto chi detiene una responsabilità e ha cura di qualcosa può agire in vero per assurdo, in modo irresponsabile. Il futuro di quello di cui si ha responsabilità è la dimensione stessa della responsabilità. Entrando nel merito dei rapporti tra etica e potere fino a che punto la responsabilità del potere si inoltra nel futuro? Essendo la responsabilità un correlato del potere, una nuova etica del potere si dovrebbe incentrare nella pratica di una politica di salvaguardia della natura e dell’individuo che si prodighi nella salvaguardia del presente in visione di un prossimo futuro privo di complicazioni per la vita stessa. Da qui la ricerca necessaria di nuovi metodi nelle forma della lotta contro l’imposizione assoggettante del potere.


5. La Parola al Potere

Il problema politico dell’intellettuale non sarà più quello di impedire le derive ideologiche della scienza, nell’inseguimento chimerico di una verità libera dal potere, ma quello di cambiare il regime politico. Il discorso e il sapere sono alla base stessa del potere perché i poteri derivano dalla conoscenza e dalla parola, ogni sistema di educazione è un modo politico atto a mantenere e modificare la loro gestione. I discorsi sono insiemi di eventi discorsivi e solo alcuni tipi di discorso sono fatti propri dai diversi gruppi sociali. Disciplina e volontà di verità non sono fonti da cui il discorso fluisce libero. Questi sono i sistemi di assoggettamento del discorso, confermati dal fatto che i soggetti parlanti non possano accederne liberamente ed a tutte le tipologie. Il potere del discorso è fortemente presente nella costruzione della ideologia e dell’abuso di potere. È un’arma di controllo sociale, una nuova cultura strategica un modo di condizionamento molto utile e efficace barriera invisibile che educa lo spirito (Ramonet, 1994). Attraverso il linguaggio disugualità e potere si rendono palesi. L’ideologia del potere è investigata in modo sistematico e scientifico da molti campi del sapere tra cui l’analisi critica del discorso. Che evidenzia i problemi sociali e politici attraverso l’analisi del discorso osservando la dimensione discorsiva dell’abuso di potere. Il nucleo centrale è sapere come il discorso contribuisca alla riproduzione della diseguaglianza sociale determinando chi detiene l’accesso alle strutture dei discorsi e della comunicazione, che sono accettate e legittimate dalla società. Il discorso contribuisce alla riproduzione del potere ed al suo uso abusivo da parte dell’individuo o gruppo dominante. La nostra analisi verte sul fatto che il potere per essere trasmesso si serva di numerosi mezzi e rappresentazioni oggettive. Nonché dalla constatazione che molti di questi elementi si riproducano nel corso della storia ed entro culture differenti. Se pur talvolta differenziandone la forma ma mantenendone alterata la sostanza di volontà di predominio e di mantenimento del potere. Alla luce di quanto appena affermato, l’azione strumentale del controllo del discorso pubblico da parte di chi detiene il potere, rientra in questo insieme di pratiche oggettive attraverso cui il potere si manifesta. Discorso e comunicazione convertono ai bisogni dei gruppi dominanti. È un potere che decide a chi concedere il diritto a parlare, permette di controllare ogni singola azione, monopolizza il consenso pubblico, gestisce un controllo mentale attraverso la parola lì dove le azioni della gente siano azioni discorsive. Per un ricercatore si rivela questo tipo di analisi del discorso, molto utile per la comprensione dei meccanismi di potere nella società. I gruppi dominanti accedono a mezzi di dominazione. Che concerne la relazione di diseguaglianza di un gruppo che domina su un altro controllandolo. I gruppi dominati hanno accesso libero solo alla conversazione privata mantenendo un accesso passivo ai mezzi di comunicazione ed un accesso parzialmente controllato al dialogo istituzionale. Vedendosi negata una partecipazione attiva al discorso politico di potere.

6. Il discorso come strumento


Le élite, i gruppi o singoli, che il potere lo detengono, al contrario, hanno accesso attivo e controllato a molti elementi che intervengono nella comunicazione. Stabiliscono le limitazioni degli argomenti di conversazione in quanto la comunicazione, il dialogo, il discorso, e fondamentalmente e primariamente la parola è oggetto fattosi fortemente e simbolo di potere, il potere che si trasmette per immagini, cioè simboli, e la parola è l’immagine di un pensiero, un’immagine in tal caso che manifesta il potere che vuol essere imposto. Non esistono discorsi veri in sé, ma solo discorsi che una certa politica della verità fa agire come veri e che fa pronunciare da coloro i quali hanno l’incarico di designare quel che funziona come vero. Infatti ogni società ha il suo regime di verità, la sua politica generale della verità, e dei tipi di discorsi che accoglie e fa funzionare come veri. Per il principio di discontinuità i discorsi sono attività discontinue, che si intrecciano, affiancano ma anche ignorano ed escludono vicendevolmente. Palesati i meccanismi di rarefazione del discorso non si trova la sfera del non-detto che deve essere esplicata. Per il principio di specificità il discorso non spiega la natura del mondo e delle cose, ma in vero si impone alle cose, rendendo continuità agli eventi. Cercare le possibilità esterne che hanno limitato il discorso, non scorgendone il possibile contenuto interno è azione del principio d’esteriorità. Innegabile l’arbitrarietà della scelta dei significati come sistema simbolico che definiscono oggettivamente la cultura di un gruppo. Sociologicamente si rivela essere necessaria, in quanto la sua esistenza deriva proprio dalle condizioni sociali che vivono alla base del sistema in cui essa è prodotta. L’uso della lingua rientra nell’ambito delle azioni sociali strumento in uso all’imposizione di un potere. L’antropologia del linguaggio, analizza gli eventi linguistici per mettere in luce il modo in cui le persone pensano alle proprie azioni ed alle altrui. Interessante a tal fine risulta essere il confronto con il mondo comunicativo di altre specie animali. Fatto di enunciati simbolici che rispondono direttamente all’istinto ed alle capacità di sopravvivenza. Certamente non un linguaggio organizzato di suoni, ma comunque un accurato congiunto di gesti e comportamenti, che ben chiariscono la volontà di manifestare atteggiamenti finalizzati al mantenimento del potere, del predominio e della difesa. Inseriti nell’ambito specifico della sopravvivenza o della riproduzione.


7. Il potere del linguaggio

Ferdinand de Saussure i cui studi linguistici sono stati basilari per la comprensione della lingua e dei suoi legami con il comportamento, indica due diversi modi di apprenderla attraverso i suoi fenomeni linguistici. Lo fa attraverso due approcci: il punto di vista diacronico e il punto di vista sincronico. La Diacronia riguarda l’evoluzione della lingua nel tempo, mentre per un approccio sincronico l’attenzione è concentrata su ciò che è significativo in un particolare momento. Due punti di vista questi che determinano un’impostazione diversa nello studio di una lingua. Fatti che possono essere caratterizzanti da un punto di vista diacronico non lo sono da un punto di vista sincronico e viceversa. La pluralità dei mezzi per lo studio di una lingua è dovuta alla varietà dei punti di vista, attraverso cui si crea l’oggetto. Da considerare è inoltre la dimensione biolinguistica della lingua, che configura una linguistica con fondamenti nella vita biologica. Saussure dà inizio ai suoi studi avvicinandosi alla linguistica con questa prospettiva, che illumina sulle dinamiche che legano la lingua all’imposizione di potere. Se si parla di potere legato alla sfera del linguaggio, risulta rilevante esaminare le conclusioni teoriche di un grande studioso di linguistica Noam Chomsky. Questi dopo Saussure è stato determinante e influente per la linguistica contemporanea. Le sue ricerche miranti a cogliere l’essenza delle cose dietro l’apparenza della realtà, hanno generato una forte sensibilizzazione verso la reale natura del potere. La sua grammatica generativo – trasformazionale nasce nell’ambito di nuova teoria che prende l’avvio da una critica mossa dallo studioso, allo strutturalismo. Sarà il riferimento da cui si muoverà un esame delle strutture profonde del linguaggio capace di dare significato di ciò che esternamente appare. Tenendo presente la capacità creativa che è propria della lingua. Chomsky infatti sostiene che allo strutturalismo è sfuggito un problema fondamentale ossia quello della creatività del linguaggio. Nella sua teorizzazione si concentra soprattutto sulla sintassi, sulle regole di combinazione dei costituenti e sulla matrice biologica, individuale, del linguaggio. Tanto Saussure quanto Chomsky e le rispettive tradizioni linguistiche, hanno messo in evidenza le caratteristiche del linguaggio fondamentali per la linguistica. Proprietà che possono essere integrate in una descrizione efficiente dei fatti sulle lingue.

8. Sassure e lo strutturalismo

Lo strutturalismo linguistico rappresentato dalla teorie elaborate da Saussure proponeva di considerare la lingua come un sistema unitario e autonomo di segni. Si fa riferimento alla struttura sistematica della lingua in un preciso momento del suo sviluppo. Gli elementi linguistici sono considerati parti di una struttura in reciproca interazione dove si dia priorità alla lingua come istituto sociale, le cui parole siano il codice a cui il parlante attinge, associano il significante e di significato. I fattori comunicativi nella comunicazione identificati dal linguista Roman Jacobson sono: il mittente che invia un messaggio a un destinatario, in un contesto verbale, per mezzo di un codice, trasmesso attraverso un contatto o canale fisico. Un’altra interessante distinzione va fatta tra la langue, la lingua, e le parole. Infatti la langue è fatta di convenzioni necessarie alla comunicazione fra i membri di una data società o comunità linguistica ed è quindi una realtà astratta. Mentre le parole sono il repertorio che poi si adopera nel momento dell’esecuzione individuale. Chomsky sottolinea come una grammatica generativa sia alla base della capacità umana delle azioni di parlare e comprendere. Per Saussure il significato è funzione della comunità che lo usa. Il linguaggio è pubblico, in base a una posizione esternista. Invece per Chomsky il significato dipende da concetti che sono dati all’interno delle nostre menti ed il linguaggio è individuale, posizione internista. La struttura profonda della conoscenza è universale ed i comportamenti cognitivi se osservati la palesano. Alla base delle diverse varietà linguistiche vi è una struttura profonda. Secondo la teoria della grammatica generativa, la forma logica della frase è uguale per tutti ed interagendo con la lingua parlata in un determinato ambiente, origina la grammatica di ogni lingua. Chomsky, si scosta così da un approccio comportamentista della filosofia del linguaggio, apportando una innovazione importante per la linguistica del Ventesimo secolo. Secondo la teoria il neonato che non sa nulla è educato attraverso il meccanismo della punizione e del premio. Tali associazioni determinano le strutture comportamentali entro una rigida oggettività. Chomsky (2002) invece sostiene che solo in termini di processi complessi il comportamento linguistico dell’individuo si possa comprendere. Nostro interesse è capire come anche all’interno delle sue teorie, il linguaggio si ponga nei confronti del potere, dove il canale sia la politica ed il codice appunto il linguaggio.


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