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La prossima frontiera per Neuralink è la vista artificiale

La società biotech di Elon Musk è solo una delle organizzazioni che stanno sviluppando dei dispositivi per permettere alle persone cieche di tornare a vedere grazie a degli impianti cerebraliVista artificialeVista artificialeGETTY IMAGESNel febbraio 2022 il 56enne Brian Bussard è diventato il primo partecipante di uno studio innovativo. L’obiettivo era testare un dispositivo wireless progettato per ripristinare parzialmente la vista nelle persone non vedenti. All’uomo sono stati così impiantati 25 piccoli chip nel cervello, l’ultima speranza per tornare a vedere.Bussard aveva perso la vista dall’occhio sinistro all’età di 17 anni a causa di un distacco della retina. Nel 2016 lo stesso problema ha poi colpito anche l’occhio destro, lasciandolo completamente cieco. “È stata la cosa più difficile che abbia mai affrontato”, ammette l’uomo, ricordando il momento in cui la sua percezione del mondo è cambiata radicalmente (anche se alla fine ammette di aver imparato ad adattarsi alla condizione).Le sperimentazioni nel mondoTutto questo fino al 2021, quando Bussard ha sentito parlare di una protesi visiva dell’Illinois Institute of Technology di Chicago. I ricercatori lo avevano avvisato che si trattava di un dispositivo ancora in fase di sperimentazione e che non doveva aspettarsi di riacquistare completamente la vista come. L’uomo però ha deciso di iscriversi comunque al programma e ora grazie a dei chip nel cervello ha riacquistato la vista, seppur artificiale molto limitata, che descrive come simile ad un “bip su uno schermo radar”. L’impianto gli permette di percepire persone e oggetti sotto forma di punti bianchi e iridescenti.VIDEOStefania Fregosi a Wired Health 2024: “Solo il 16% dei cittini usa regolarmente le app di monitoraggio della salute”Bussard è al momento uno delle poche persone cieche al mondo ad aver rischiato un intervento chirurgico al cervello per installare una protesi visiva. In Spagna, i ricercatori dell’Università Miguel Hernández hanno impiantato un sistema simile in quattro persone, il culmine di decenni di ricerca.L’interesse per queste sperimentazioni non si limita però al mondo accademico ed è arrivata anche all’industria. L’azienda californiana Cortigent per esempio sta sviluppando un dispositivo chiamato Orion dedicato ai non vedenti, che è stato impiantato in sei volontari. Ma anche la più famosa Neuralink di Elon Musk sta lavorando a un impianto cerebrale per la vista. In un post su X di marzo, l’imprenditore ha dichiarato che il dispositivo della sua azienda, chiamato Blindsight, “funziona già nelle scimmie”. “All’inizio la risoluzione sarà bassa, come la grafica dei primi Nintendo, ma alla fine potrebbe superare la normale vista umana”.La previsione di Musk tuttavia sembra abbastanza improbabile, considerando che la vista è un meccanismo biologico altamente complesso. Ci sono enormi barriere tecniche per migliorare la qualità di ciò che le persone sono in grado di vedere con un impianto cerebrale. Detto questo, in alcuni casi la sola implementazione di una vista rudimentale potrebbe fornire alle persone non vedenti una maggiore indipendenza nella vita di tutti i giorni. “Non si tratta di recuperare la vista biologica – dice Philip Troyk, professore di ingegneria biomedica all’Illinois Tech, che guida lo studio a cui ha partecipato Bussard – ma di esplorare cosa potrebbe essere la vista artificiale”.Come funziona la vista artificialeDa una prospettiva fisico-biologica la vista è il risultato di un processo che prevede diversi passaggi. Quando la colpisce l’occhio, la luce passa prima attraverso la cornea e il cristallino, gli strati esterni e centrali dell’occhio. Solo a questo punto raggiunge la parte posteriore dell’occhio, la retina, una membrana composta da cellule chiamate fotorecettori in grado di convertire la luce in segnali elettrici. Questi segnali viaggiano poi attraverso il nervo ottico fino al cervello, che li interpreta come immagini. In assenza della retina o del nervo ottico, gli occhi non possono comunicare con il cervello. Questo è il caso di molte persone affette da cecità totale. I dispositivi che Troyk e Musk stanno costruendo bypassano completamente l’occhio e il nervo ottico, inviando le informazioni direttamente al cervello. Per questo motivo, sono potenzialmente in grado di porre rimedio a qualsiasi causa di cecità, che si tratti di malattie oculari o di traumi.La regione del cervello che elabora le informazioni ricevute dagli occhi è chiamata corteccia visiva. La sua posizione, nella parte posteriore della testa, la rende facilmente accessibile per un impianto. Per inserire i 25 chip nel cervello di Bussard, stimolatori miniaturizzati che emettono una leggera corrente elettrica, i chirurghi hanno eseguito una craniotomia. Ogni chip ha le dimensioni di un gommino di quelli che si trovano sulle matite e contiene 16 minuscoli elettrodi, più sottili di un capello umano e controllabili individualmente.Complessivamente, Bussard ha 400 elettrodi impiantati: “È come una rete cellulare nel cervello”, spiega il responsabile dello studio. Una telecamera montata su un paio di occhiali riprende l’ambiente circostante. Le immagini vengono elaborate con uno speciale software e tradotte in comandi che comunicano con la rete di chip, accendendo i singoli elettrodi per stimolare i neuroni. La stimolazione produce percezioni visive chiamate fosfeni, che assomigliano a puntini luminosi, senza che la luce raggiunga effettivamente l’occhio. Poiché gli stimolatori sono raggruppati in parte della corteccia visiva, Bussard vede i fosfeni solo nella parte inferiore sinistra del suo campo visivo. Ma tutto questo è sufficiente per migliorare la sua capacità di orientarsi in una stanza e consentirgli di svolgere compiti di base, come individuare un piatto tra quattro oggetti diversi su un tavolo.La tecnologia del futuroProdurre immagini migliori è una delle sfide principali di questi sistemi: “Più elettrodi si hanno, più fosfeni si potrebbero produrre in teoria, e più forme complesse si potrebbero generare artificialmente”, spiega Xing Chen, assistente di oftalmologia all’Università di Pittsburgh. L’anno scorso, Chen e i suoi colleghi hanno pubblicato uno studio su una protesi visiva creata con 1024 elettrodi. Quando hanno testato il sistema nelle scimmie, gli animali sono riusciti a riconoscere lettere generate artificialmente. Per ripristinare una forma di vista nelle persone, il numero di elettrodi necessari vanno dalle centinaia alle migliaia, a seconda delle stime. Ma Troyk, il responsabile dello studio a cui si è sottoposto Brian Bussard, ritiene che l’importante non sia tanto il numero di elettrodi, quanto la loro collocazione: distribuendoli sulla corteccia visiva si potrebbero produrre più punti luminosi in un campo visivo più ampio. Il rovescio della medaglia, però, potrebbe essere un intervento chirurgico più invasivo.Nello studio dell’Università Miguel Hernández in Spagna, i volontari hanno ricevuto un solo dispositivo contenente 100 elettrodi. Ciononostante anche questo sistema ha permesso a una donna di 60 anni di identificare linee, forme e semplici lettere, secondo i risultati pubblicati nel 2021. I ricercatori hanno poi replicato lo studio in altri tre volontari ciechi, spiega Eduardo Fernández, il neuroscienziato a capo della ricerca, il cui obiettivo principale è migliorare l’orientamento e la mobilità delle persone non vedenti. In un test, un soggetto che indossa la protesi è in grado di evitare gli oggetti mentre cammina su un tapis roulant davanti a uno schermo video per la realtà virtuale. In futuro, Fernández vuole aggiungere altri elettrodi per aumentare il numero di fosfeni e produrre immagini più dettagliate. Per ora, il suo team sta imparando molto dai quattro volontari iniziali dello studio. La corteccia visiva di ognuno dei partecipanti è un po’ diversa, quindi i ricercatori devono sperimentare diverse strategie per trovare il migliore posizionamento degli elettrodi e la quantità di stimolazione elettrica da erogare: “Personalizziamo la stimolazione per ogni volontario”, dice Fernández.Le sfide della vista artificialeAdattare gli impianti in modo ottenere prestazioni ottimali non è semplice. Nei primi esperimenti, i ricercatori hanno utilizzato grandi elettrodi posizionati sulla superficie del cervello, che necessitavano di correnti elettriche relativamente elevate per produrre fosfeni. Per questo motivo la stimolazione a volte causava convulsioni, dolore e danni al tessuto cerebrale. Secondo Chen, è necessario trovare un equilibrio tra la necessità di una corrente abbastanza forte che produca fosfeni senza causare effetti collaterali indesiderati.ANNUNCIO PUBBLICITARIOUn altro ostacolo è la longevità dei dispositivi impiantati nel cervello. Negli studi di Pittsburgh e dell’università spagnola, i ricercatori hanno utilizzato un dispositivo rigido chiamato Utah array, una griglia quadrata con 100 piccoli aghi di silicio, ciascuno con un elettrodo sulla punta. Questo modello può durare da mesi ad anni, ma c’è il rischio che possa smettere di funzionare quando si forma del tessuto cicatriziale intorno all’impianto, che interferisce con la sua capacità di captare i segnali dei neuroni vicini. Gli impianti del team dell’Università dell’Illinois assomigliano alle teste di spazzole in miniatura e sono fatti di ossido di iridio. Neuralink e altre aziende stanno sviluppando dispositivi con elettrodi più piccoli e flessibili in grado di penetrare nel cervello. Per esempio, il devide di Neuralink, a forma di moneta, si inserisce nel cranio con elettrodi sottili e filiformi che si estendono nel tessuto cerebrale. Secondo Chen, elettrodi più morbidi possono potenzialmente allungare la vita di un impianto, anche se resta da capire quanto riusciranno a durare all’interno di un cervello.Un’altra domanda senza risposta è se la durata della cecità di una persona possa influenzare il funzionamento di questi dispositivi. Il primo partecipante allo studio spagnolo era cieco da 16 anni eppure era in grado di distingure forme grezze, mentre Bussard è completamente cieco da solo sei anni. “Sappiamo che dopo anni di cecità il sistema visivo inizia a degenerare – afferma Chen –, è possibile che sia meglio intervenire il prima possibile, anche se questo aspetto deve essere ancora studiato e dimostrato sistematicamente”.ANNUNCIO PUBBLICITARIODurante un evento del 2022, Musk ha affermato che attraverso i suoi dispositivi “chiunque potrà ottenere la vista, anche chi è nato cieco”. Altri esperti, come Fernández, sono più cauti ed evidenziano che il ripristino della vista in una persona cieca dalla nascita non è mai stato tentato. Questo perché, in teoria, affinché sia possibile una persona dovrebbe avere una corteccia visiva funzionante. Ma le persone nate cieche non hanno mai utilizzato questa parte del cervello per elaborare le informazioni visive.Al momento, Bussard si limita a usare la sua protesi visiva in laboratorio, dove i ricercatori possono controllare la stimolazione. Troyk e i suoi colleghi stanno lavorando a un sistema mobile che permetta ai futuri partecipanti allo studio di usare il dispositivo anche a casa. Troyk sta cercando altri volontari, che siano diventati ciechi da adulti ma che abbiano avuto una vista normale o quasi almeno per i primi 10 anni di vita. Nello studio spagnolo, la protesi visiva viene impiantata per sei mesi prima di essere rimossa. Bussard dice che gli piacerebbe usare il dispositivo anche al di fuori del laboratorio. Ha un cane sordo e parzialmente cieco e scherza sul fatto che sarebbe molto più facile trovarlo se potesse usare l’impianto a casa. Ma è consapevole del fatto che potrebbe non avere l’occasione di trarre grandi benefici dal dispositivo nel corso della sua vita: “Non lo faccio necessariamente per me – racconta –, ma per le generazioni future”.Questo articolo è apparso originariamente su Wired US.

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