Protesta di Nan Goldin (al centro a destra) contro Purdue Pharma nel 2021, foto Seth Wenig /Ap

Protesta di Nan Goldin (al centro a destra) contro Purdue Pharma nel 2021 – Seth Wenig /Ap

DROGHE. Messico, la procura brucia 5 milioni di pastiglie dell’oppioide che uccide 70mila americani l’anno. A un mese dalla morte di Matthew Perry, a due settimane dall’incontro Biden – Xi, nulla è cambiato. La “opiodemics” devasta gli Stati uniti

Il manifesto, S.Veroli

Culiacan è la città più grande del Sinaloa, uno stato del Messico, quello dell’omonimo cartello di narcos fondato a suo tempo dal Chapo Guzman. Meno di 48 ore fa, nell’inceneritore di un’azienda specializzata della città, la procura generale del Messico ha distrutto “27 toneladas 304 kilos 597 gramos 314 miligramos y 25 mil 26 litros 527 mililitros” (scrivono i pignoli procuratori) di narcotici, precursori chimici per la loro produzione, eccipienti. Oltre a altra narco-paccottiglia. Tra cui 5 milioni e 4.622 pastiglie di fentanyl. Tutta roba destinata agli Usa.

Non è (ancora) cambiato niente. Il fentanyl marcia ancora verso il confine americano in dosi generose. Eppure la morte di Matthew Perry, l’attore che ha interpretato per dieci anni il personaggio più divertente e poetico di Friends, un mese fa aveva portato di nuovo alla ribalta mediatica internazionale la piaga che affligge gli Stati Uniti in un crescendo dagli Anni Duemila, la opiodemic, le morti per overdose da oppioidi paragonate, appunto, a un’epidemia.

E gli Usa, il Messico, la Cina da dove viene gran parte dei composti con cui si sintetizza il fentanyl, avevano detto tutti: facciamo qualcosa, adesso.

MATTHEW PERRY non è morto per abuso di farmaci oppioidi: «Non c’è traccia di fentanyl nel sangue», avrebbero dichiarato i medici, ma ce ne sono eccome nella sua autobiografia “Friends, amanti e la Cosa Terribile”, in Italia pubblicato dalla Nave di Teseo dove racconta la sua dipendenza disperata in particolare da Vicodin.

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Negli States gli oppioidi sono killer conclamati, e non solo del dolore: attualmente uccidono circa 70mila americani all’anno, numero che supera la somma di quello dei morti nelle guerre in Vietnam, Iraq e Afghanistan messi insieme.

IN EUROPA è la cultura pop a parlarcene, soprattutto. Tutti sappiamo di antidolorifici mixati a alcol e stimolanti che uccidono star come Prince, finiscono Michael Jackson, aiutano il Dr House a sopportare il male cronico alla gamba.

I farmaci oppioidi sono i protagonisti di Painkiller, miniserie Netflix con protagonisti Matthew Broderick e Uzo Auba , dedicata all’abuso di OxyContin, il primo farmaco a rilascio prolungato approvato a base di ossicodone; in sei puntate la serie ripercorre la vicenda giudiziaria che ha portato l’azienda farmaceutica Purdue Pharma, e i membri della famiglia Sackler che possiedono l’azienda dagli anni ’50, a pagare una multa record per la responsabilità nella promozione aggressiva dell’antidolorifico Oxy: oltre 8 miliardi di dollari per aver cospirato consapevolmente e intenzionalmente per favorire i medici che dispensavano i farmaci.

La serie ricalca precisamente le orme di un’altra di appena due anni prima, Dopesick – dichiarazione di dipendenza, che è valsa a Michael Keaton il Golden Globe. Tra le due produzioni, nel 2022, si colloca un documentario, All the beauty and bloodshed, Leone d’Oro a Venezia, in cui Laura Poitras racconta vita e carriera di Nan Goldin, fotografa e attivista, ma soprattutto la sua lotta contro i Sackler e Purdue Pharma.

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LA RAPPRESENTAZIONE cinematografica restituisce una realtà in costante peggioramento, con numeri che crescono in tutti gli Stati uniti e vedono gli oppioidi sintetici come prima causa di morte per gli americani di età compresa tra i 18 e i 45 anni; il fentanyl è responsabile di quasi il 70% degli oltre 107.000 decessi per overdose degli Stati Uniti nel 2023.

All’indomani dalla morte di Perry, il ministro all’istruzione statunitense Miguel A. Cardona, e il responsabile dell’Ufficio per le politiche sulla droga Rahul Gupta hanno inviato una lettera a tutte le scuole dell’Unione invitandole a dotarsi di scorte di naloxone, come fossero dei defibrillatori o degli estintori: invece è l’antagonista del fentanyl vendibile negli States come farmaco da banco.

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E il fentanyl è finito anche all’ordine del giorno dell’incontro del 15 novembre scorso tra Biden e Xi Jiping a San Francisco: Pechino, che in passato avrebbe già posto stop alla produzione del farmaco, ora si impegnerebbe anche a limitarne l’esportazione.

In precedenza i divieti erano stati bypassati dalle società cinesi con la vendita dei precursori del fentanyl in Messico, dove finiscono dritti nelle mani dei cartelli dei narcos che producono e vendono negli Usa, in una guerra dell’oppio al contrario dove è il mercato americano ad aprirsi all’oppioide sintetico proveniente non dall’India Britannica ma dalla Cina. «Entro la prossima settimana conoscerete le nostre nuove iniziative», hanno detto le autorità americane e cinesi: ne sono passate due, ancora nessuna notizia.

E L’EUROPA? Ricorda l’Economist che il farmaco è nato in Belgio, ma si è sviluppato solo grazie al capitalismo americano. I morti in Europa per overdose degli stessi farmaci non arrivano a duecento l’anno, lo Stato dove se ne è registrato un picco è la Lituania; il consumatore di questi farmaci è quello che usa eroina e che si rivolge all’oppioide sintetico per carenza di quello naturale: la minore disponibilità di eroina in Europa, dovuta al contrasto talebano alle coltivazioni di papaveri afghani da oppio, orienta la domanda verso l’alternativa fentanyl.

CI SI CHIEDE che possa avvenire in Italia, dove si rileva l’opposta questione di una certa resistenza ospedaliera all’uso di farmaci oppioidi, ancora sotto dosati, e nel trattamento del dolore, storicamente negletto forse anche per retaggio culturale e religioso.

Lo scudo più rassicurante alle derive catastrofiche statunitensi dovrebbe essere in Italia la presenza di un sistema sanitario pubblico in grado di fornire percorsi mirati, sicuri e gratuiti di terapie a chi ne ha bisogno. Ma il Medicare, sistema sanitario finanziato sostanzialmente dal pubblico, non ha risparmiato il Canada da un’imponente emergenza di morti per oppioidi.

Travolto dagli Anni Dieci del Duemila dal 2023 il Canada tenta la strada della depenalizzazione del possesso, di cocaina, oppioidi e metanfetamina e mdma; per i maggiorenni che, nella provincia della Columbia Britannica, detengono fino a massimo 2,5 grammi di queste droghe pesanti non è previsto arresto, sequestro né denuncia.

JUSTIN TRUDEAU, primo ministro canadese e compagno di scuola di Matthew Perry, all’inizio di quest’anno ha costituito un comitato trilaterale con Biden e il messicano Lopez Obrador per fronteggiare il trasferimento del fentanyl, dei suoi precursori chimici e delle attrezzature utilizzate nella sua produzione.

Antony Blinken, segretario di Stato americano, nei mesi scorsi ha invitato l’Europa ad «alzare la guardia», un messaggio ai colleghi ministri degli esteri. Il nostro, per la cronaca è fermo alla famosa battuta che tutti hanno cominciato con una canna.

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