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In corso in Kenya il primo vertice africano sul clima, ma gli attivisti insorgono: “Non fare del continente un paradiso dei carbon credit”.É in corso a Nairobi da lunedì e fino al 6 settembre, il primo summit africano sul clima. In cima all’agenda dell’incontro – a cui partecipano delegazioni provenienti da tutti i 54 stati del continente – i cambiamenti climatici e il loro impatto sulla regione. Una settimana finalizzata a delineare una posizione comune in vista della Cop28, che si terrà a fine novembre negli Emirati Arabi Uniti, e per esercitare una maggiore influenza globale riguardo un fenomeno di cui l’Africa è responsabile in minima parte ma per cui già sta pagando altissime conseguenze. Secondo l’Organizzazione metereologica per il clima (Wmo), il continente africano, pur ospitando il 17% della popolazione mondiale, contribuisce ad appena il 4% delle emissioni globali di gas serra. Eppure – secondo le Nazioni Unite – è colpito più di altre regioni del mondo dagli effetti che l’inquinamento produce in termini di riscaldamento termico e disastri naturali. Secondo il database Science Direct, dall’inizio del 2022, almeno 4mila persone sono state uccise e 19 milioni colpite da eventi meteorologici estremi in Africa. Un rapporto Onu del 2022 stima inoltre che il continente perda da 7 a 15 miliardi di dollari all’anno a causa dei cambiamenti climatici. Per invertire il trend e mitigare le perdite i paesi del continente dovrebbero ricevere in media 124 miliardi di dollari all’anno, di cui finora hanno ricevuto solo una minima parte pari a 28 miliardi di dollari.Per di più, il tempo stringe. Secondo un recente rapporto Onu-Unione Africana, il continente si sta riscaldando a un ritmo più veloce rispetto al resto del pianeta e sta osservando fenomeni meteorologici estremi più gravi, come siccità e alluvioni. Solo lo scorso anno, i paesi del continente hanno registrato 80 fenomeni meteorologici e climatici estremi come la peggior siccità nel Corno d’Africa degli ultimi 40 anni e gli incendi in Algeria. Il rapporto afferma che il tasso medio di riscaldamento in Africa è stato di 0,3 gradi Celsius per decennio nel periodo 1991-2022, rispetto a 0,2 gradi a livello globale. Il riscaldamento è stato più rapido in Nord Africa, che è stato soggetto a molteplici ondate di caldo dallo scorso anno. Il rischio – sottolineano gli esperti – è che il cambiamento climatico inneschi nuovi conflitti sulle risorse, alimentando l’instabilità. Nell’Africa sub-sahariana il numero di bambini sfollati interni a causa della crisi climatica è quasi raddoppiato, passando da un milione del 2021 a un milione e 850mila nel 2022. Nello stato di Borno, nord della Nigeria, le inondazioni dello scorso anno hanno costretto più di 30mila persone ad abbandonare le proprie case. “Molti bambini sono stati separati dalle loro famiglie e collocati in strutture temporanee” denuncia Save the Children, secondo cui i diritti dei più fragili, in Africa, “vengono erosi a un ritmo allarmante dagli impatti della crisi climatica”.“Non siamo qui per fare una lista delle nostre lamentele – ha detto il presidente keniano William Ruto in apertura dei lavori – ma dobbiamo fare in modo che coloro che ci hanno portato qui, alla crisi climatica che stiamo vivendo, gli emettitori, siano ritenuti responsabili e si crei un sistema che funzioni per tutti”. Il presidente keniano ha chiesto un accordo globale sulla riduzione del debito per aiutare le nazioni africane a combattere gli effetti dannosi del cambiamento climatico, insistendo sul fatto che “le due questioni sono indelebilmente legate”. Nonostante l’enorme potenziale di energia solare e altre fonti rinnovabili, in africa circa 600 milioni di persone non hanno accesso all’elettricità. E tuttavia il tema della transizione energetica è fonte di frustrazione per molti governi che lamentano il fatto che le mancate compensazioni da parte dei paesi più inquinanti stanno pregiudicando lo sviluppo di infrastrutture essenziali per generare energia pulita. Da tempo i paesi africani chiedono che le nazioni più ricche onorino l’impegno assunto alla COP15 di Copenaghen di versare 100 miliardi di dollari all’anno in un fondo di compensazione, per contribuire a ridurre le emissioni di gas serra e aiutare i paesi africani ad affrontare la crisi climatica. Tra i partecipanti esterni al vertice figurano la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, l’inviato del governo americano per il clima, John Kerry, e il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che ha dichiarato che quella finanziaria è una delle “ingiustizie più scottanti della crisi climatica”.Ma non è solo questione di soldi. Centinaia di gruppi della società civile hanno chiesto che il vertice prenda una posizione in difesa dei reali interessi del continente e non ceda alle pressioni per un ‘green-washing’ di facciata. Ad agosto, più di 400 organizzazioni della società civile africana hanno firmato una lettera aperta indirizzata a Ruto in cui denunciano il tentativo, messo in atto da alcune organizzazioni e individui di “sequestrare il summit” per promuovere “un’agenda occidentale a discapito degli interessi africani. Secondo i firmatari, gli interessi e le posizioni climatiche dell’Africa sono stati messi da parte dai enti, società di consulenza e organizzazioni che stanno sfruttando il vertice per promuovere “un’agenda che mette in primo piano la posizione e gli interessi dell’Occidente, vale a dire il mercato del carbonio, e gli approcci ‘climate positive’. Questi concetti sono false soluzioni e sono guidati dagli interessi occidentali mentre vengono pubblicizzati come priorità africane. In realtà, però, incoraggeranno le nazioni ricche e le grandi aziende a continuare a inquinare il mondo, a scapito del continente”. A riprova delle pressioni di cui il vertice sarebbe stato oggetto, viene citato il fatto che dei circa 40 partner, solo un quarto siano originari del continente. “Non c’è spazio per l’illusione delle compensazioni in un mondo in cui abbiamo esaurito il budget di carbonio rimanente”, ha affermato Mohamed Adow, direttore del think tank sul clima Power Shift Africa. “La struttura stessa del carbon credit prevede che noi offriamo ai paesi industrializzati e alle aziende il permesso di continuare ad inquinare, autorizzando di fatto un percorso ad alte emissioni e spostandone l’onere sulle popolazioni africane. È una nuova forma di colonialismo”.

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