Occhi puntati sulla Turchia, che il 14 maggio va ad elezioni dall’esito incerto. E il candidato di opposizione sfida Erdogan: “Io sono un alevita”.

Le elezioni parlamentari e presidenziali del 14 maggio in Turchia sono considerate un tornante della storia su cui tutti, in Europa e Medio Oriente, hanno gli occhi puntati. Il responso delle urne, secondo diversi osservatori, sarà infatti tra i più incerti degli ultimi 20 anni, in un paese alle prese con le conseguenze del devastante terremoto di febbraio e con anni di cattiva gestione economica e finanziaria. Per la prima volta le opposizioni sono riuscite ad esprimere il nome di un candidato unitario per la corsa alla presidenza, Kemal Kilicdaroglu, soprannominato il “Gandhi turco”, che contesterà all’attuale presidente Recep Tayyep Erdogan – al potere dal 2003, prima come premier e poi come capo dello stato – il ruolo di guida del paese. Ma in ballo non c’è solo la rielezione di Erdogan e la permanenza al potere dell’Akp: le elezioni decideranno il ruolo che Ankara intende svolgere a livello regionale e globale, dal futuro della Turchia nell’alleanza Nato al suo rapporto con gli Stati Uniti, l’Ue e la Russia. Il nuovo presidente sarà chiamato anche a definire la posizione di Ankara rispetto alla guerra in Ucraina e la gestione delle tensioni nel Mediterraneo orientale. Fare previsioni è difficile e gli analisti non si sbilanciano: se negli ultimi mesi il calo del presidente nei sondaggi alimenta le speranze di chi vorrebbe vedere la fine all’era Erdogan, molti elettori turchi sembrano preoccupati che l’ascesa di un’opposizione divisa – che ha poco in comune se non la volontà di battere l’Akp – apra ad una fase di instabilità, danneggiando il paese di fronte alle numerose sfide con cui è chiamato a confrontarsi.

Edogan in cerca di rielezione

Per Erdogan le elezioni del mese prossimo hanno un enorme significato storico, politico, simbolico. Cadono nel centenario della fondazione della Repubblica laica di Mustafa Kemal Ataturk e, se sarà rieletto, il presidente avrà il potere di imporre la traiettoria futura del paese di 85 milioni di abitanti, divenuto centrale nelle dinamiche geopolitiche degli ultimi anni. Un traguardo che Erdogan vede a portata di mano ma che potrebbe sfuggirgli soprattutto a causa delle cattive condizioni economiche del paese: in Turchia il costo della vita è aumentato sensibilmente anche a causa delle politiche finanziarie dell’esecutivo, incentrate su idee poco ortodosse soprattutto in materia di tassi di interesse, che hanno causato un’impennata dell’inflazione arrivata all’85%, facendo crollare al contempo il valore della lira turca sui mercati. Una gestione che è costata al presidente più di qualche punto percentuale nei sondaggi, che ora danno in lieve vantaggio l’opposizione. E la disaffezione si è persino acuita in seguito al terremoto – una calamità che ha causato oltre 50mila morti – e in conseguenza delle gravi e accertate responsabilità istituzionali nella mancata prevenzione e nella risposta, giudicata del tutto inadeguata, nelle ore successive alle prime scosse. Un evento naturale che a pochi mesi dal voto ha messo in luce tutte le incongruenze della politica e della propaganda dell’Akp.

Chi è il ‘Gandhi turco’?

Kemal Kilicdaroglu, il “Gandhi turco”, come lo hanno soprannominato i media, un po’ per somiglianza fisica un po’ per i suoi metodi di resistenza non violenta, è il principale sfidante di Erdogan alle prossime presidenziali. Ha 74 anni ed è alla guida del Partito popolare repubblicano (CHP), principale partito d’opposizione, da 15 anni. A sostenere la sua candidatura è una piattaforma di sei partiti (Tavola dei 6) convinti che il paese abbia bisogno di una svolta politica, che parta dalla riforma costituzionale, con il ritorno al parlamentarismo, l’allargamento della rappresentanza politica e il ritorno della Turchia verso maggiori standard democratici. Kilicdaroglu ha detto anche di voler riprendere il discorso dell’ingresso della Turchia nell’Unione Europea e ripristinare la “fiducia reciproca” con gli Stati Uniti, dopo anni di relazioni complicate. Il candidato di opposizione ha inserito ai primi posti della sua agenda il rovesciamento totale della ‘Erdonomics’ impegnandosi a riportare l’inflazione sotto il 10% in due anni e a rimandare a casa, su base volontaria, parte dei circa 3,6 milioni di rifugiati siriani attualmente in territorio turco. Ma alcuni osservatori temono che il suo tono e i suoi modi dimessi e pacati – in evidente contrasto con lo stile di Erdogan – possano svantaggiarlo in una corsa elettorale in cui il presidente gode di tutto il sostegno delle istituzioni e dei mezzi di informazione controllati dall’Akp.

La rottura di un tabù?

Che il 14 maggio sia una data a cui molti guardano con crescente attenzione anche in Occidente non è un mistero. Il timore, soprattutto in Europa, è che una rielezione convinca Erdogan a spingere la Turchia verso un modello sempre più conservatore e autoritario, rendendo Ankara un interlocutore sempre meno affidabile sul piano internazionale. Anche per questo, nelle ultime ore, sta facendo scalpore un video su Twitter che la stampa ha definito ‘storico’, in cui Kilicdaroglu si rivolge ai giovani e parla del fatto di essere un alevita, una minoranza etnica che pratica una versione secolare dell’islam a lungo perseguitata dai musulmani sunniti, di gran lunga prevalenti in Turchia. Benché in molti in Turchia sapessero della fede di Kilicdaroglu, il fatto stesso di averne parlato apertamente su un social è senza precedenti. Gli aleviti – che pregano il giovedì anziché il venerdì e venerano l’imam Ali, genero del profeta Maometto – hanno spesso cercato di nascondere la propria identità e pur rappresentando, secondo alcune stime, circa il 20% della popolazione, non sono ufficialmente riconosciuti dallo stato turco. Il video, divenuto virale in poche ore, ”toglie il tappeto sotto i piedi di Erdogan”, osserva Soner Cagaptay del Washington Institute, ed è stato interpretato da molti come un appello al pluralismo e alla tolleranza in opposizione con il presidente che ha basato gran parte della sua immagine e carriera politica sulla sua identità sunnita.

IL COMMENTO

di Valeria Talbot, Head ISPI MENA Centre

Anche questa volta le elezioni sembrano configurarsi come un referendum nei confronti del presidente Recep Tayyip Erdoğan, la cui figura carismatica ha ininterrottamente dominato e forgiato la scena politica turca nell’ultimo ventennio. A oggi la partita elettorale tra Erdoğan e il suo principale sfidante Kemal Kılıçdaroğlu appare ancora aperta. Se il presidente ha in mano più carte dei suoi avversari, l’eterogeneità della coalizione d’opposizione potrebbe non dare all’elettorato quelle rassicurazioni di cui ha bisogno in una congiuntura difficile per il paese, nonostante siano in molti a propendere per un cambiamento. Come in precedenti occasioni, l’elettorato curdo (circa il 20% della popolazione) potrebbe fungere da ago della bilancia di un voto cruciale per il futuro della Turchia”.

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