domenica 25 aprile 2021

Di Al. Tallarita


Parlare del passato vuol dire sempre comunque giudicarlo?Forse no.

La visione asettica dei fatti non è sempre possibile, seppur auspicabile.Domandarsi sulla società Italiana e la natura umana proprio il 25 aprile. Una data che ritroviamo non solo in Italia, commemorazione del giorno della Liberazione, ma anche in altre nazioni, come o Dia da Revolução dos Cravos, in Portogallo. Momento storico celebrativo, di qualcosa che segna uno spartiacque, fra un prima e un dopo. Ma i conti con la storia sono diversi, il racconto è diverso, il fondamento è diverso. La narrazione di una storia, che si è fatta tale, in una lotta di fratelli contro fratelli. Quella che è stata in Italia e il racconto che tutt’oggi lascia molte domande aperte. Su quali furono le condizioni che portarono nell’Italia la discesa del regime fascista. E sulla sua evoluzione sino al conflitto. Degli uomini e delle donne, di quel popolo che osannò il regime per oltre 20 anni. Cosa successe dopo? Molti speravano che quella guerra, dovesse essere persa. Per ritornare a una staticità tranquilla, alla quale non si sarebbe più ritornati. E allora si apre quell’enorme baratro del giudizio. Quell’opportunità di scrivere privi di quel giudizio storico, analizzando né da vincitore, né da vinti, ma da spettatori, gli anni che avevano preceduto quel 25 aprile e quelli che sarebbero venuti dopo. Come fece Satta che proverà a raccontarci tutto questo, nel suo ‘De Profundis’ . Dove fa del processo, l’ineludibile attore del presente, per spiegare il corso della storia, nella realtà italiana, mentre è impossibile il giudizio. In quanto il coinvolgimento generale, di tutte le parti di quella unità, che poi venne distrutta, priva dell’imparzialità, dovuta alla spiegazione della realtà storica, è vivo.Del fascismo, della guerra, della sconfitta.Ecco perché molti al di là del colore politico, hanno fatto molta fatica a confrontarsi, per esempio, con la sua testimonianza scritta, con ciò che conteneva. Vale a dire quella testimonianza cronistica, compiuta da chi era lì, in mezzo, a vivere quella realtà.Una visione che Einaudi, a cui venne presentata per la pubblicazione, definirà ‘radicalmente diversa dalla loro’. Un’assenteista, per loro, invece ferocemente realista. E questo stesso realismo, fa vedere la resistenza, in tutta la sua crudezza. Di quei non belligeranti che diventano belligeranti e che entrano in questa dimensione di guerra costante, che distrugge la Patria e l’unità.

“(..) totale mancanza di poesia è la vera poesia della guerra (..) si è andata ogni giorno più rivelando unospettacoloso omicidio rituale, e in questa idea religiosa sembrano risolversi e superarsi i problemi che essa solleva,primo fra tutti quello angoscioso del male. (..) non sono dei mostri: sono i ministri di un dio non immemore.”. (Satta)

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